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      racolosa, ci è mestieri la propria virtù. Desta quanto sai, anco squassandolo pei capelli, il popolo dal letargo in cui lo immerse il servaggio, dove tu non gli sgranchisca col pensiero la mente, con lo affetto il cuore, col moto il sangue, tu avrai fatto la prova di rizzare in piedi un cadavere. Questo non piacque: un dì salutarono il popolo padrone perchè si eleggesse padrone, e dopo la sceda dei Giudei, i quali, messa la corona di spine sul capo a Gesù, lo salutavano re percotendogli il volto con la ceffata, mai nel mondo fu vista in ignominia la pari; il popolo certo era chiamato a versare il suo sangue, e lo versò ma a mo' dello stagno che si cola nel buco ad assicurare l'arpione dove attaccano la catena: successero miserabili saturnali di prepotenza, di codardia di cupidità e di altre più ree passioni, donde nacquero odio, infamia e miseria: per ciò sorse un grido, che a taluno parve motteggio, ed altri abbaiò, il quale fu: "Stavamo meglio quando stavamo peggio:" questo il mane, techel, fares dei tempi: non si creda già, come asserirono falsamente, che un uomo pescasse il detto e ne imboccasse il popolo; il popolo sa vestire i suoi concetti di forma da disgradarne anco Dante. Adesso il popolo non crede più che per mutati ordini politici si miglioreranno le sue sorti, o non gl'importa, o non ci bada; persuaso è di questo, che fin qui andò di male in peggio; per la quale cosa oggi presente che bisogna trasformare lo stato dell'umano consorzio; in questo nuovo intento migliore arnese fia quegli che patisce di più: non importa frequentare gli studi alla università per avere fame, ed un singulto di affamato insegna più di cento lezioni di professore; però una volta quando si andava a caccia di forme politiche, e credeva che giovasse così, il popolo si preponeva letterati, uomini di scienza, gente insomma che andava per la maggiore, e dietro ad essi camminava nella fiducia di essere condotto per la retta via; oggi il popolo si chiama legione, a lui non fanno letterati, nè li cerca; basta a sè e non vuole essere più abbindolato: di qui la sazietà degl'istituti parlamentari come quelli che ai casi soprastanti non si affanno; tanto varrebbe adoperare un vaglio per attingere acqua dal pozzo: i governi smaniano a scoprire gli agitatori del popolo, ed essi altro non mostrano che la inanità del loro intelletto; il popolo si agita da sè; mettano in carcere il popolo se sanno, o se meglio loro capiti, ci mettano la fame; ma nè anco questo basta, egli è mestieri imprigionare il moto fatale che affatica il consorzio umano e lo spinge a sconquassarsi per ricomporsi poi.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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