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      Qualche quercia frondeggia solitaria, malinconico ricordo delle selve distrutte, e il paesaggio ha un aspetto triste e desolato che contrasta con la ridente ubertosità del Casentino. Alla Beccia, poco sotto al monastero, si trova una osteria che, per la sua modestia, ricorda le consorelle dei monti della Sabina e ci vedemmo la cagna più magra che abbia vissuto mai, credo, in Europa; fenomeno di osteologia animata, prova meravigliosa della resistenza della vita nei quadrupedi addomesticati. E di lì salimmo al convento.
      La Verna è come un'amba, cioè un monte tagliato a picco in ogni parte fuorchè in un esiguo istmo dal quale si accede al piano che è come la faccia superiore di questo immenso dado di macigno. Presso all'istmo è il convento che, da lontano, pare attaccato, incollato alla rupe, ed il piano dell'amba, inclinato e boscoso, non si vede se non entrandoci. La parte rocciosa è orrida, la selvosa amenissima, e tutto l'insieme ha un non so che di strano, di violento, di imponente che costringe all'ammirazione.
      Ma i frati, guastano un poco. Dice la pia leggenda che S. Francesco, giunto qua sù, fu accolto dagli uccelli accorsi a salutarlo col loro canto e che egli li ringraziò e benedisse. Io non c'era e non posso dirne nulla, ma pure la leggenda ha quella certa poesia delicata che alita spesso nelle origini francescane. I frati hanno eretto una piccola cappella sul presunto luogo del miracolo, a pochi passi prima dell'ingresso e da una finestrella dell'uscio ci fanno vedere S. Francesco, non so se di gesso o di legno, ma tutto lustrato e verniciato, in atto di benedire pochi passeri e balestrucci impagliati, quasi spennati e pendenti con un filo dal soffitto.


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Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna
1908 pagine 487

   





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