Il Sovrano non era per noi che un dispensatore di grazie e subito pensammo di chiedergliene una.
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Ma quale? I pareri furono molti e la discussione vivace, finchè vinse il partito di domandargli l'uscita dal Collegio per sei giorni dell'anno. Solo per due giorni potevamo tornare a casa, anzi a chi pernottasse fuori era minacciata l'espulsione.
In quei tempi, la miseria dell'insegnamento e la difficoltà delle comunicazioni costringevano le famiglie agiate dei paesi e delle città minori a mettere i figli in Collegio perchè imparassero pur qualche cosa e, siccome i Gesuiti, stimati il modello degli educatori, prescrivevano e praticavano nei Collegi loro l'assoluto distacco dalla famiglia, così la regola era stata copiata anche per noi. Regola buona forse per frati, ma crudele e scellerata per noi, poveri bimbi, che nel castigo dei primi errori, nella amaritudine dei primi dolori, ricordavamo e sospiravamo le carezze materne. Perciò pensammo di chiedere un po' di larghezza nel lasciarci uscire. Io che, fino d'allora cominciavo a patire di belle lettere, ebbi l'incarico di scrivere la domanda, ma la ricerca di un foglio decentemente ornato per stenderla, ci tradì. I superiori, parte seppero, parte indovinarono e con energiche ammonizioni ci proibirono qualunque tentativo di porgere suppliche al Sovrano: il che non riscaldò certo la gratitudine, già molto tiepida, che sentivamo per loro.
Così, malcontenti, ci fecero scendere nella sala maggiore dell'Accademia di Belle Arti e, sull'uscio, ci misero in ginocchio; ma qui i miei ricordi sono scoloriti e confusi.
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Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna 1908
pagine 487 |
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