Il Generale si avvicinò al letto dove giaceva il povero tribolato e gli fece coraggio con quella sua voce che aveva tante inflessioni di carezza e di dolcezza. Il malato non diceva che "grazie" e piangeva. Si sapeva che doveva morire e la scena faceva impressione a tutti.
Venne il momento della partenza e Garibaldi, dopo un altro "Coraggio, Dottore!" si chinò sul letto e baciò, dico baciò, quel povero viso tumefatto ed orribile di moribondo e se ne andò tranquillo, come se non avesse compiuto uno di quegli atti eroici per cui si canonizzano i santi. Quel bacio poteva costare la vita al Generale perchè la risipola è infettiva, ma Garibaldi, pur di consolare un disgraziato che moriva, non badò allo schifo, non curò il pericolo e compì l'atto santo colla semplicità dell'eroe.
Sì, perchè quello fu veramente bacio d'eroe!
SVVM CVIQVE TRIBVEREDon Vencenzì, Cavaliere della Croce d'Italia e Presidente del Tribunale, sull'imbrunire era solo nel suo scrittoio.
Lo chiamava scrittoio e non studio per un vago ricordo del parlare toscano, poichè era stato pretorucolo in non so qual buco di Maremma, ma certo in quello scrittoio Don Vencenzì ci scriveva poco perchè aveva sempre vissuto in mediocre armonia colla grammatica e la penna gli faceva ribrezzo come una serpe. Il fatto è che il preteso scrittoio pareva piuttosto un tempietto sacro ai Lari domestici, perchè sopra un asse, lungo il muro, stavano in fila quattordici statuette di gesso, da Sant'Antonio a Santo Espedito, ammesso lì per ultimo per guastare il malaugurio del numero tredici.
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Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna 1908
pagine 487 |
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