Non se ne incaricava, diceva lui.
Nč gli davano noia le risate del pubblico quando, presiedendo in Corte d'Assisie, non capiva il dialetto del paese e non poteva far capire il suo ai testimoni; poichč anch'egli parlava volontieri in dialetto e dava luogo ad equivoci ridicoli e rumorosi. Nemmeno lo turbava l'insolenza degli avvocati che gli tagliavano la parola in bocca, in piena udienza, dicendogli: - "Ma scusi, Presidente, Lei non capisce niente!" - Frase che, in grazia della rima al mezzo, era diventata quasi proverbio. Il pubblico rideva di gusto, ma Don Vencenzė che ne aveva sentite di peggio, non ci badava o, tutt'al pių, tirava su gli angoli della bocca verso le pinne del naso polputo, convinto cosė di punire e stritolare i colpevoli con un sorriso di irresistibile finezza canzonatoria ed era una smorfia balorda.
Meno poi lo offendevano i monelli che gli scrocchiavano dietro certi suoni inarticolati e sudici, quando la domenica menava in giro il cane, un bastardo di cento razze, vecchio, gonfio, spelato e che gli somigliava. Lo chiamava Gerundio, in memoria del latino che non aveva potuto mai imparare in Seminario e, quando passava davanti a una chiesa, sospirava perchč la compagnia del cane gli inibiva di entrar nella casa di Dio a dire qualche posta di rosario. La corona l'aveva sempre nella tasca del panciotto, vicino al cuore, e la toccava come un amuleto, quando la ragazzaglia gli cacciava i cerchi tra le gambe o gli faceva rimbalzare le palle nel cappello.
Ma Don Vencenzė era infelice per cagion della moglie.
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Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna 1908
pagine 487 |
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