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      Cerchi, vegga, penetri il senso non immediatamente accessibile che si contorce nella strettoia del verso e lo giudichi con più intellettuale e sagace criterio di quel che si usi per la prosa libera, meditata e misurata. Mi dica Ella, se adottata la poetica imagine del gregge, che è al postutto imagine del Vangelo, volendo dire che il Pastore vive umanamente delle prestazioni, spontanee o domandate, del gregge suo, potevo usare altra parola? Dovevo dire che vende le pecore, le macella, le scortica e le mangia? Sarebbe stato ben altrimenti grave, e non ingiuria e non diffama alcuno l'affermare invece per allegoria e per verità che il pastore ne vive: E di che vivrebbe dunque?
      Non le nascondo l'ironia che sta sotto la parola. Le espressi già più sopra quel ch'io sento della questua insistente che si esercita in Faenza da Monsignore o da chi per Lui. Non le nascondo che proprio a questo alludono i due versi, ma torno sempre lì. Questo mio giudizio, se anche fosse errato, implica una disapprovazione mia della attività petitoria del Pastore, biasima quella mano sempre tesa o fatta tender da altri, per raccoglier moneta ma non si dice, non è detto e non dico che Monsignore volga fraudolentemente ad utile proprio quel che i fedeli sborsano per altri determinati fini. Se lo dicessi senza provarlo, allora sì mi riterrei passibile di pena. Ma non l'ho detto e senza prove non lo direi. In che dunque ho ingiuriato o diffamato Monsignore? E non questua Egli e non fa questuare, secondo me, con troppo assidua avidità? Non vive Egli della lana del suo gregge?


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Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna
1908 pagine 487

   





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