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      Nel dubbio quindi di impegolarmi personalmente in qualche seccatura (a processi non pensavo nemmeno in sogno), nel dubbio che i versi che tenevo pronti potessero ad occhi maliziosi sembrare offensivi alla persona del Vescovo, decisi d'informarmi un po' meglio per non cadere involontariamente in qualche impiccio o in qualche noia. E scrissi a conoscenti e fui in relazione anche con preti faentini che trovai molto perplessi nel giudizio della utilità per la religione di queste lotte cittadine alle quali il Vescovo spinge ed aizza il suo clero.
      Uno di questi preti m'inviò la Dottrina Cristiana della Diocesi, cincischiata di certe sue citazioni del Concilio di Trento che mi davano a pensare; e un gran frego di penna segnava queste parole: «Nel fine si faranno recitare tre Pater ed Ave secondo la mente del sommo Pontefice e pel felice stato del nostro vigilantissimo Pastore». Questo comando (la Dottrina è stampata per comando di Monsignor Cantagalli, il che fa presumere che la conosca e l'approvi) questo comando di pregare pel felice stato, non si può riferire che ad un felice stato terreno e mondano, a comodi, a godimenti di questa vita, non essendo possibile che i fedeli gli debbano pregare ora un felice stato al di là, mentre Egli si trova ancora al di qua ed in ottima salute. Non si recitano preci in suffragio dei vivi.
      E questa imagine, questo tipo di Vescovo cui le preghiere e le prestazioni dei fedeli procurano e conservano il felice stato, invase il mio poco cervello e vi prese forma e si concretò in un altro sonetto, tutto diverso da quello che era stato prima preparato.


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Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna
1908 pagine 487

   





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