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      Perciò la Ecc.ma Corte può, anzi rispettosamente dirò, deve vedere e valutare lo stato di animo e di coscienza in cui ero allora e riflettere soltanto al versicolaio il quale, nel silenzio del suo scrittoio, crede di rimare un sonetto anticlericale nell'occasione di un Giubileo Vescovile, persuaso con ciò di non recare offesa, contumelia, od ingiuria alcuna alla persona del Vescovo giubilato e nient'altro. Il sonetto sta di per sè e deve, secondo giustizia, essere giudicato indipendentemente dalle epigrafi e dagli articoli che lo accompagnarono; deve esser giudicato al momento in cui mi uscì dalla penna, perchè io sapevo bensì, così in generale, che doveva esser pubblicato, ma ignoravo tutti i particolari concomitanti e li ignorai fino a che mi giunse il numero del Lamone. Sta a sè; tanto è vero che sono imputato di sola ingiuria, mentre i coaccusati debbono rispondere anche per la diffamazione; tanto è vero che, pur confessando la simpatia che per sincera convinzione anticlericale nutro per la causa del Lamone, scindo e separo la mia causa dalla sua perchè le responsabilità giuridiche e i titoli stessi dell'imputazione sono diversi e separati. A ciascuno il suo ed a me soltanto il mio sonetto; a sè, di per sè, considerato obiettivamente, nel solo riguardo della responsabilità mia. Nemo pro alieno facto tenetur.
      Certo, Eccellenze della Corte, certo nel sonetto si trovano alcune parole che si vogliono scritte meditatamente ed apposta per individuare il Pastore che parla, mentre invece ed invero sono parole non offensive, non ingiuriose, messe lì soltanto per rendere i versi adatti alla circostanza e ragionevoli per l'occasione.


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Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna
1908 pagine 487

   





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