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      O vincolate o libere, queste eredità si fanno di frequente dai Vescovi e costoro ne dispongono liberamente e legittimamente, sia che, come alcuni, le ripassino poi ai poveri secondo il precetto di Cristo; sia che, come altri, le applichino al proprio felice stato, secondo il disposto del Codice. Il fatto si verifica troppo spesso perchè occorra insistere sulla sua notorietà, e si verifica non solo per Monsignor Cantagalli che, per attestazione della stessa Parte Civile e dell'ufficio del Censo, gode alcune di queste eredità, ma per moltissimi altri Vescovi di cui è inutile dire i nomi, e per lo stesso Sommo Pontefice che ha ereditato, che erediterà e come erede possiede, gode frutti e giudizialmente contende e transige. Che bisogno c'è dunque di attribuire un senso odioso ed ingiurioso alla nuda parola eredità, quando è noto al popolo e al comune che, come gli oboli, le feste e il resto, costituisce un cespite frequente e legittimo delle rendite dell'Episcopato in genere, anzi del felice stato dei Vescovi e perciò anche di quello che feci parlare nel mio sonetto?
      E così, come se avessi mandato uno dei soliti sonetti di occasione, destinati a morire colla occasione; una delle solite scioccherie che si danno ai numeri unici, per contentare un amico o per contribuire ad un'opera buona, confidai la lettera alla Posta e non ci pensai più. Chi diavolo poteva prevedere il putiferio che quel numero avrebbe destato tra coloro che in Faenza gridano, quando possono, «Viva il Papa Re»? Come avrei potuto io prevedere che, per forza di chiose e di glosse, quell'insipido sonetto sarebbe stato trovato pieno di più numerose e criminose scelleraggini che non fosse piena di bestie l'arca di Noè? Tranquillo del fatto mio, vivevo in pace e quando mi giunse il numero del Lamone, lasciando il resto, cercai solo se il sonetto me l'avessero stampato senza errori.


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Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna
1908 pagine 487

   





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