«De cetero, fratres mei, gaudete in Domino», ma soffrì (l'han detto i testimoni in udienza e lo ripeto anch'io) soffrì d'eccessiva.... prudenza. Ed io che lo sapevo, dovevo far parlare così proprio Lui? Invece del povero vecchio, timido per educazione, per animo, per giusto desiderio di comoda pace, dovevo scientemente far parlare l'indifferente che osserva, lo stoico che non trema, il saggio che ride della pazza instabilità delle turbe? Anzi peggio: dovevo far parlare il feroce, il Nerone, il Caligola? Via siamo sinceri: il Pastore che parla qui non è e non può essere Monsignor Gioacchino Cantagalli, Vescovo di Faenza.
E tanto bene se n'è accorto l'illustre Avvocato Capretti, che corre subito alla parata con queste parole:
«Il dire, come fa il Guerrini, che qui parla il Pastore e non Monsignor Gioacchino Cantagalli (pagina 32 dell'autodifesa) mentre il Guerrini stesso a pagina 8 della stessa autodifesa dice che sapeva benissimo che il sonetto: Parla il Pastore, era destinato al numero a posta stampato dal Lamone per il Giubileo di Monsignor Cantagalli e quando quindi il Pastore di Faenza di cui si celebrava il giubileo, non poteva esser che lui, il Vescovo Cantagalli, è una contraddizione, una tergiversazione che ha del puerile e che dimostra come il Guerrini senta che la sua causa è disperata, perchè per difenderla ricorre a distinzioni sottili e sofistiche, ad ingegnosità interpretative, che si risolvono in vane quisquiglie di parole indegne di chi pure solennemente afferma «Non sono di quelli che vibrano il colpo e nascondono la mano».
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Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna 1908
pagine 487 |
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