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      Ma già diceva il Dati, «sono più santi che uomini dabbene!»
      Ora lasciamo le cose serie e torniamo alle argomentazioni dell'illustre Avvocato Capretti.
      «E siamo all'ultimo verso che il poeta chiama il più amaro».
      «Questo mio gregge mansueto e grasso - Di pecore di becchi e di castrati».
      «Dunque Mons. Vescovo ha autorità su pecore becchi e castrati».
      «Non è qui evidente il dileggio?
      «Qui è palese che si vuol mostrare Monsignor Cantagalli Vescovo di persone vili, abiette, che per imbecillità si lasciano tosare ossia dissanguare o sfruttare da Lui. Sicchè egli, il Vescovo Cantagalli, viene dipinto come Pastore che abusa di tali condizioni del suo gregge per meglio saziare la propria ostinata avidità di pecunia e quasi non bastasse, il poeta Guerrini lo dipinge in attitudine di menar vanto di tanto ignobili sentimenti. E ora basta!...»
      Purtroppo vedremo che non basta.
      L'illustre Avvocato si ripete. Il menar vanto è figlio di quel suo sproposito di credere che nel sonetto il Pastore parli al suo gregge, e la più superficiale lettura di questo istesso terzetto convince del contrario chi sa leggere correntemente. Si ripete, alterando il mio tosare in dissanguare cui qui dà in vero un sinonimo nuovo, quello di sfruttare, tolto malamente dal vocabolario dei socialisti. Si ripete sostituendo le sue assiomatiche affermazioni, il suo assoluto «qui è palese» e le sue fantastiche induzioni, ai ragionamenti e alle prove che dovrebbe dare. Infatti, dato e non concesso (non ripeta anche qui l'habemus confitentem reum) che io abbia qualificato il gregge di Monsignore come composto di persone vili ed abbiette, non ne consegue punto che io affermi poi che il Pastore abusa di tali condizioni del suo gregge per meglio saziare la propria ostinata avidità di pecunia.


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Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna
1908 pagine 487

   





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