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      E il Pubblico Ministero mi citava Dante! Ah, veramente era proprio il caso di citarlo dopo aver detto col Giusti che la satira personale restringe il cerchio dell'arte e di citarlo proprio al Canto XIX dell'Inferno dove è straziato Bonifacio VIII, vivo ancora all'epoca della visione! Ma mi sarei contentato se il Pubblico Ministero, che conosce e cita Dante, avesse almeno citato anche la definizione che il Poeta dà dei simoniaci:
      «Che le cose di Dio...
      . . . . . . . . . . . . . . .
      Per oro e per argento adulterate.»
      Gli avrei chiesto dove mai, dai poveri miei versi, possa inferirsi che il mio Vescovo, o il suo Cantagalli, adulterino, falsifichino le cose di Dio, la rem spiritualem del Devoti, per oro o per argento? Ahimè, non le cose di Dio, che sono troppo grandi, ma i miei versi che sono troppo piccoli e le mie intenzioni che non erano ree, furono adulterati! Che se io avessi ripetuto a Monsignor Gioacchino Cantagalli, che gode una lauta mensa ed è diventato ricco, i versi di quel canto;
      «Deh or mi di'; quanto tesoro volleNostro Signore in prima da San Pietro,
      Che gli ponesse le chiavi in balìa?
      Certo non chiese se non «viemmi retro».
      Nè Pier nè gli altri chiesero a Mattia
      Oro ed argento....»
      sarei stato accusato di nuove ingiurie e il Pubblico Ministero avrebbe trovato che quei versi pelano e scorticano veramente. Eppure per saperne scrivere di simili pagherei volontieri quante multe potessi a quanti Cantagalli ne avessero un cristiano appetito! Ma poichè non si può e dovrò restar sempre un povero versicolaio, debbo contentarmi di indicare al Pubblico Ministero che, accusa di simonìa ad un Vescovo qualunque, nei versi come li feci io, o nei versi che combinò egli a suo talento, non c'è: assolutamente non c'è. Me ne appello all'Ecc.ma Corte!


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Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna
1908 pagine 487

   





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