La Difesa, che in faccia a questa chiara manifestazione del partito già preso, aveva ventilato se non fosse il caso di ritirarsi, decise di rimanere al suo posto fidando nel giudizio di Appello e parlò più per isgravio della coscienza che per fiducia nell'opera propria. Tra di noi, nei colloqui prodotti nella speranza della riparazione, non si discuteva più dell'esito della causa, già così stranamente pregiudicato, ma sulla misura delle pene che si indovinava qual fu, cioè grave all'eccesso. La Difesa, prima spogliata di ogni arma, poi del suo diritto e finalmente conscia per troppo chiari segni che la convinzione dei Giudici era già fatta e non avrebbe potuto smoversi per cosa al mondo, parlò per dovere e non per altro. Io stesso che volevo dire allora molte delle cose che dico qui, rilevare l'arte con cui mi si fece dire quel che non pensai e si tacque ciò che dissi, stimai meglio non dir nulla di nulla. Solo all'ultima seduta dichiarai che «nell'animo e nella convinzione mia, il sonetto non era offensivo per Monsignore» e feci male, poichè questa dichiarazione che ripeto e che secondo me risponde al vero, questa convinzione che espressi in un primo opuscolo e sostengo ancora in questo, fu interpretata e pubblicata come una confessione di reità ed una protesta di ravvedimento e di pentimento. Suppongo per leggerezza e per errore, ma ho voluto rilevarlo per non sentirmi a ricantare l'habemus confitentem reum! No, Eccellenze della Corte; nè reo, nè confitente, ma innocente.
Nè altro dico più della Difesa.
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Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna 1908
pagine 487 |
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