Certo che il sonetto non esprime simpatia per le idee di Monsignore, per la condotta de' suoi colleghi gaudenti del loro felice stato, ma è iniquo procedere per brevissimas mutationes, quelle in cui Ulpiano poneva l'essenza della cavillatio, fino a sforzare i versi ad una ipotiposi ad una fotografia della persona del Vescovo, contro la verità.
Ho detto e ripetuto fino alla sazietà che nella intenzione mia e nemmeno nella forma con cui l'intenzione si estrinsecò, il sonetto non può ingiuriare e non ingiuria nessuno e tanto meno una persona determinata e peggio poi Monsignor Cantagalli. Ho sostenuto per la verità che quei poveri versi sono uno sfogo politico, un epigramma di partito in genere, un soliloquio di un tipo simbolico ed impersonale. Se per circostanze a me estranee la fisonomia di quei versi potè apparire mutata, offensiva, personale, non è giusto ch'io debba soffrirne la pena. Manca perciò la nozione dell'animus quale si desume e cava dal Codice, vale a dire la coscienza dell'ingiuria, la volontà deliberata di offendere con atti o parole scientemente e volutamente ingiuriosi, manca insomma l'elemento soggettivo del reato. E mancando nel sonetto anche le verba per se iniuriosa, vale a dire l'elemento oggettivo, che cosa resta di questo delitto cui mancano l'intenzione e l'esecuzione, il soggetto e l'oggetto, lo spirito e la materia? Lo dirà l'Ecc.ma Corte.
No, Eccellenze della Corte, non può essere che la perspicacia Vostra non abbia veduto come tra le novanta parole del sonetto incriminato non ce n'è una sola che suoni ingiuria o per Gioacchino Cantagalli o pel Vescovo di Faenza, mentre invece sotto al verso ed alla querela sta qualche cosa di più che il volgare piato di un vecchio contumace contro un rimatore che non l'offese.
| |
Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna 1908
pagine 487 |
|
|
Monsignore Ulpiano Vescovo Monsignor Cantagalli Codice Ecc Corte Eccellenze Corte Vostra Gioacchino Cantagalli Vescovo Faenza
|