Desiderano altri faccende per appetito di guadagnare, e questo oltre a essere fine basso, non credo ti dia affanno, perché se Dio ti conserva le facoltà che hai, sono al grado tuo tante che bastano; ed io mi ricordo averti molte volte udito dire che ci fine delle fatiche e travagli tuoi non era le ricchezze, perché sapevi non avere a guadagnarne mai tante che sempre a Firenze non fussino molti cittadini che sanza virtù, sanza qualità rare ne avessino molto più di te; e però che tu eri più vòlto al fine dell'onore, nel quale potevi sperare manco compagni. e che avessino a aggiugnervi con più virtù.
Sono uomini di un'altra sorte che desiderano le faccende non tanto per gli effetti che seguitano da esse, quanto perché pigliano piacere e si nutriscono del travagliare, e da questi non sei forse alieno tu, perché mi è parso sempre comprendere che el fine per se stesso ti piaccia e che la natura t'abbi inclinato a questo; né è forse maraviglia né anche da lamentarsi se la dà agli uomini inclinazione di quelle cose a che gli ha creati atti, anzi sarebbe quasi ingiuria che l'avessi fatto uno inabile a una cosa e tamen desideroso di quella. Ed in questo mi occorre dirti che le faccende di quella sorte che noi ragioniamo, cioè di stati e di governi, hanno seco tante fatiche, tanti dispiaceri e tanti pericoli, che chi non v'ha drento altro fine né vì considera altro frutto drento che del satìsfare a questa sua inclinazione, vi truovi sanza comparazione maggiore fastidio che contento, o almanco non vi è tanta differenzia, che trovandosene escluso dalla fortuna abbia causa di averne molta ansietà. Considera bene questo passo e vedrai che è verissimo, che chi nelle faccende non tiene conto di alcuno degli altri fini per li quali le sogliono desiderarsi, troverrà questo solo del dilettarsi di farle, tanto semplice, tanto asciutto, tanto digiuno che poco affanno gli darà el mancarne.
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Dio Firenze
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