El grado, le forze, le facultà, la consuetudine sua non comportava che si implicassi nella guerra tra questi prìncipi grandi, ma che, come avevano sempre fatto e' nostri padri, attendessi a schermirsi e ricomperarsi da chi vinceva, secondo le occasione e le necessità. Non era uficio nostro volere dare legge a Italia, volerci fare maestri e censori di chi aveva a starci, di chi aveva a uscirne; non mescolarci nella quistione de' maggiori re de' cristiani; abbiamo bisogno noi di intrattenerci con ognuno, di fare che e' mercatanti nostri che sono la vita nostra, possino andare sicuri per tutto, di non fare mai offesa a alcuno principe grande se non constretti ed in modo che la scusa accompagni la ingiuria, né si vegga prima la offesa che la necessità. Non abbiamo bisogno di spendere e' nostri danari per nutrire le guerre di altri, ma serbargli per difenderci dalle vittorie; non per travagliare e mettere in pericolo la vita e la città, ma per riposarci e salvarci. Potavamo oziosi stare a vedere le guerre d'altri, ed alla fine comperare la pace e la salute nostra con infiniti danari manco, che non abbiamo el primo dì comperato la guerra e la ruina. Avevamo mille modi di salvarci, ora non è nessuno: se vince lo imperadore andiamo a sacco, se el re di Francia e viniziani restiamo in preda ed in servitù; apresso all'uno de' re siamo in grandissimo odio, apresso all'altro in disprezzo, abbiamo dissipato tanto tesoro che oramai è dissipato el publico, el privato; abbiamo avuto nel paese nostro gli eserciti amici ed inimici, l'uno e l'altro ci ha trattato crudelissimamente; abbiamo avuto paura che questa povera città non vadia a sacco, al fuoco ed a quegli estremi mali, e ne siamo tuttavia in più pericolo che mai; crescono ogn'ora le spese ed e' disordini; non possiamo gittare in terra questo peso, e standoci sotto crepiamo.
| |
Italia Francia
|