Io confesso, onorevoli senatori, essere officio vostro e di tutti e' governatori delle republiche, ancora che la pace sia cosa santissima e desideratissima, non però lasciarsi tanto abbagliare dalla dolcezza sua, che per paura di non la perdere si entri in maggiori guerre e pericoli, che non sarebbe entrato chi non l'avessi amata troppo; e nondimanco ricordo che per ogni timore o sospetto non si debbe pigliare le arme, e per ogni paura di non avere guerra, entrare nella guerra, perché chi fa cosí, spesso, per fuggire pericolo, sanza bisogno entra in pericolo; e non essendo mai pace alcuna tanto sicura, né tanto ferma che manchi di qualche timore di guerra, chi procedessi con questa regola non starebbe mai in pace; anzi entrando di guerra in guerra per desiderio di avere la pace, non la arebbe mai. Però meritano essere laudate quelle republiche, che, quando veggono pericolo manifesto di guerra, non lasciano per la dolcezza della pace di fare le provisioni che convengono; ma non manco biasimate quelle che entrano in guerra per temere piú che bisogni la guerra.
Adunche, avendo noi a consultare sopra quello che è stato proposto, è necessario esaminare diligentemente che pericolo ci sia di guerra in caso che noi non accettiamo le offerte del re de' romani, e sopra questo fondare le nostre resoluzione; e perché non si può fare giudicio certo delle cose future, bisogna da uno canto pesare le ragione che minacciano la guerra, da altro quelle che persuadono el contrario, e pesato quali siano piú e piú potente, fondare el punto nostro come se sapessimo certo avere a essere quello che ci si mostra piú verisimile.
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