Ha posto Cesare la mira sua ed e' fini suoi, e giusti o ingiusti che siano, bisogna che abbia per inimico e desideri la ruina di ognuno che cerchi disturbare e' suoi disegni; il che avendo fatto Vostra Santitá, e nel modo che ha fatto, erra assai qualunque presuppone che non gli sia inimicissimo; la quale inimicizia se a lui venissi bene occultarla o dimetterla, come direno di sotto, ci resta el sospetto, che non gli puň lasciare usare questa o prudenzia o bontá che la sia. Giá č chiaro che la grandezza sua dispiace a Vostra Santitá e che l'ha cercato di batterlo, in modo che conviene sia impresso che ogni volta che quella vedessi la occasione, gli sarebbe contraria. Né a questo si puň trovare mezzo di sicurtá, perché la gelosia č troppo naturale negli stati; né la sicurtá che da' portamenti suoi potrete avere voi, dará sicurtá a lui, come ha detto l'arcivescovo, anzi saprá che el sospetto che lui ha, tiene di necessitá in sospetto Vostra Santitá, ed el sospetto di quella multiplica el sospetto suo; e' quali sospetti non si possono medicare se non dal canto di colui che resterá in grado che l'altro non abbia facultá di offenderlo. Adunche quando la ambizione cessassi, quando la indignazione non ci fussi, el sospetto lo sforza a pensare di assicurarsi, ed assicurare non si puň se non vi deprime; deprimendo Vostra Santitá, la fa al tutto sua inimicissima, e perň mettendovi mano č necessitato o ruinarla totalmente, o abassarla tanto che la resti poco manco che ruinata.
Le quali ragione doverrebbono essere capace a chi non avessi veduto segno alcuno; ma a chi ha tocco con mano, come ha fatto Vostra Santitá, non bisognano anche altre ragione a fargliene credere.
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