Truovasi apresso gli scrittori essere stato parola de' savi antichi, e se bene ho in memoria uno ricordo dato a Giove, che fuggissi non manco che la morte el ridursi in luogo d'avere a raccomandarsi a altri. Però vegga Vostra Santitá che bene gli promette, che luogo gli lascia tra' principi, che gli dá speranza di buona compagnia da Cesare, chi la conforta a metterli el capo in grembo; che non vuole dire altro che spogliarsi di non essere piú principe, che ridursi per paura di male in uno grado che a ogni uomo generoso e virile non è niente piú leggiere che la morte. Non è questo temporeggiarsi ma ruinarsi, non conservarsi vivo, ma morire con eterna infamia; perché tanto si dice vivere el principe, quanto conserva la maiestá sua ed el grado di principe: perduto quello, è piú che morto, piú che sotterrato. Però io ardirò di dire che Vostra Santitá non solo debbe pigliare la impresa di conservare el suo principato, quando la fussi piena di molti pericoli, ma etiam quando fussi quasi desperata; di che parlerò di sotto, esaminato che areno prima, quanto el fare questa lega sia pericoloso, o quanta speranza ci sia di buono fine.
Io non negherò che lo esercito che Cesare ha in Italia, e quello che facilmente potrá ingrossare di lanzichenech, sia esercito gagliardo di capitani e di buone fanterie, e di riputazione grande per tante vittorie e tanta fortuna, e che lui abbia oggi modo di danari per el parentado di Portogallo, di che soleva per el passato essere debole, e che per questi rispetti e per le terre forte che hanno in Lombardia, la impresa di cacciargli dello stato di Milano sia dubia, difficile e pericolosa; ma non consentirò giá che la sia desperata, e che dalla parte di Cesare non siano molte difficultá e pericoli a mantenersi.
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