La quale debbe essere sommamente ripresa, perché nessuna cosa è piú perniziosa a' popoli che la guerra del suo principe, nessuna partorisce piú e maggiori mali; e l'officio d'ogni principe è astenersi quanto può da tutto quello che offende Dio, da chi ha ricevuto tanto beneficio; curare quanto può la salute de' suoi sudditi, per interesse de' quali, non per utilitá propria, è stato messo in tanta altezza. E questa circunspezione si conviene molto piú a uno pontefice romano, di chi è principale la cura spirituale, né gli è stata data la potestá temporale se non per accessoria e sustentacolo di quella; in tanto che se bene gli è concesso pigliare l'armi per difendere da' pericoli sé e la autoritá della Sedia apostolica, non so se sia sufficiente giustificazione quando lo facessi per recuperare stati temporali della Chiesa, eccetto dove non fussi lo interesse della religione o fede cristiana; perché è forse a lui piú conveniente tollerare qualche danno, che suscitare guerre; cosa tanto calamitosa alle persone ed anime de' cristiani.
Ma lasciando ora da parte questa disputa come superflua nel caso nostro, io voglio presupporre che se la necessitá di liberarsi da' pericoli non indusse Clemente alla guerra, che lui merita essere biasimato come pontefice poco consideratore dello officio suo. Dico ancora che se secondo le opportunitá che allora si mostravano, non poteva almanco avere qualche speranza della vittoria, che e' debbe essere ripreso di imprudenzia; perché non solo chi si muove a acquistare quello che se gli appartiene è temerario a pigliare l'arme se non spera verisimilmente la vittoria, ma ancora chi è nella necessitá, non debbe entrare in guerra se è escluso di ogni speranza di vincere, massime quando el non difendersi non gli porta subito la ruina totale; perché el tentare di ovviare con le arme a' pericoli, senza avere forze di farlo con effetto, sempre gli accelera e gli accresce, ed è stultizia grande per fuggire el pericolo minore entrare nel maggiore.
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