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      Ma non manco se ne commosse Lodovico Sforza, al quale erano sempre sospette l'azioni di Ferdinando; perché, essendosi vanamente persuaso, il pontefice co' consigli di Ascanio e suoi aversi a reggere, gli pareva perdita propria ciò che si diminuisse della grandezza d'Alessandro. Ma soprattutto gli accresceva la molestia il non si potere piú dubitare che gli Aragonesi e Piero de' Medici, poi che in opere tali procedevano unitamente, non avessino contratta insieme strettissima congiunzione; i disegni de' quali, come pericolosi alle cose sue, per interrompere, e per tirare a sé tanto piú con questa occasione l'animo del pontefice, lo incitò quanto piú gli fu possibile alla conservazione della propria degnità, ricordandogli che si proponesse innanzi agli occhi non tanto quello che di presente si trattava quanto quello che importava l'essere stata, ne primi dí del suo pontificato, disprezzata cosí apertamente da' suoi medesimi vassalli la maestà dí tanto grado. Non credesse che la cupidità di Verginio o l'importanza delle castella, non che altra cagione avesse mosso Ferdinando, ma il volere, con ingiurie che da principio paressino piccole, tentare la sua pazienza e il suo animo: dopo le quali, se queste gli fussino comportate, ardirebbe di tentare alla giornata cose maggiori. Non essere l'ambizione sua diversa da quella degli altri re napoletani, inimici perpetui della chiesa romana; per ciò avere moltissime volte quegli re perseguitati con l'armi i pontefici, occupato piú volte Roma.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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