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      E nondimeno si porgeva in contrario con grande avidità l'orecchio da Carlo: il quale, giovane d'anni ventidue, e per natura poco intelligente delle azioni umane, era traportato da ardente cupidità di dominare e da appetito di gloria, fondato piú tosto in leggiera volontà e quasi impeto che in maturità di consiglio; e prestando, o per propria inclinazione o per l'esempio e ammonizioni paterne, poca fede a' signori e a' nobili del regno, poi che era uscito della tutela di Anna duchessa di Borbone sua sorella, né udendo piú i consigli dell'ammiraglio e degli altri i quali erano stati grandi in quel governo, si reggeva col parere di alcuni uomini di piccola condizione, allevati quasi tutti a servigio della persona sua; de' quali quegli di piú favore veementemente ne lo confortavano, parte, come sono venali spesso i consigli de' príncipi, corrotti da' doni e da promesse fatte dallo imbasciadore di Lodovico
      , che non lasciò indietro diligenza o arte alcuna per farsi propizii quegli che erano di momento a questa deliberazione, parte mossi dalle speranze propostesi, chi d'acquistare stati nel regno di Napoli chi di ottenere dal pontefice degnità e entrate ecclesiastiche. Capo di tutti questi era Stefano di Vers, di nazione di Linguadoca, di basso legnaggio, ma nutrito molti anni nella camera del re, e da lui fatto siniscalco di Belcari. A costui aderiva Guglielmo Brissonetto; il quale, di mercatante diventato prima generale di Francia e poi vescovo di San Malò, non solo era preposto all'amministrazione delle entrate regie, che in Francia dicono sopra le finanze, ma unito con Stefano, e per sua opera, aveva già grandissima introduzione in tutte le faccende importanti, benché di governare cose di stato avesse piccolo intendimento.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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