Perciò, avendo in Francia imbasciadori, mandativi per trattare lo sposalizio di Ciarlotta figliuola di don Federigo suo secondo genito col re di Scozia, il quale, per essere la fanciulla nata di una sorella della madre di Carlo e allevata nella sua corte, si maneggiava da lui, dette loro sopra le cose occorrenti nuove commissioni; e vi deputò, oltre a questi, Cammillo Pandone, statovi altre volte per lui: affine che, tentando privatamente i principali con premi e offerte grandi, e proponendo al re, quando altrimenti non si potesse mitigarlo, condizione di censo e altre sommissioni, si sforzasse di ottenere da lui la pace. Né solo interpose tutta la diligenza e autorità sua per comporre la differenza delle castella comperate da Verginio Orsino, la cui durezza si lamentava essere stata causa di tutti i disordini, ma ricominciò col pontefice le pratiche del parentado trattato prima tra loro. Ma il principale suo studio e diligenza si indirizzò a mitigare e ad assicurare l'animo di Lodovico Sforza, autore e motore di tutto il male, persuadendosi che a cosí pericoloso consiglio piú il timore che altra cagione lo conducesse. E però, anteponendo la sicurtà propria allo interesse della nipote e alla salute del figliuolo nato di lei, gli offerse, per diversi mezzi, di riferirsi in tutto alla sua volontà, delle cose di Giovan Galeazzo e del ducato di Milano: non attendendo al parere d'Alfonso, il quale, pigliando animo dalla timidità naturale di Lodovico, né si ricordando che alle deliberazioni precipitose si conduce non meno agevolmente il timido per la disperazione che si conduca il temerario per la inconsiderazione, giudicava che l'aspreggiarlo con spaventi e con minaccie fusse mezzo opportuno a farlo ritirare da questi nuovi consigli.
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