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      Facevano tali artiglierie molto formidabile a tutta Italia l'esercito di Carlo; formidabile, oltre a questo, non per il numero ma per il valore de' soldati. Perché essendo le genti d'arme quasi tutte di sudditi del re, e non di plebe ma di gentiluomini, i quali non meramente ad arbitrio de' capitani si mettevano o rimovevano, e pagate non da loro ma da i ministri regi aveano le compagnie non solo i numeri interi ma la gente fiorita e bene in ordine di cavalli e d'armi, non essendo per la povertà impotenti a provedersene, e facendo ciascuno a gara di servire meglio, cosí per lo istinto dell'onore, il quale nutrisce ne' petti degli uomini l'essere nati nobilmente, come perché dell'opere valorose potevano sperare premi, e fuora della milizia e nella milizia, ordinata in modo che per piú gradi si saliva insino al capitanato. I medesimi stimoli avevano i capitani, quasi tutti baroni e signori o almanco di sangue molto nobile, e quasi tutti sudditi del regno di Francia; i quali, terminata la quantità della sua compagnia, perché, secondo il costume di quel reame, a niuno si dava condotta piú di cento lancie, non avevano altro intento che meritare laude appresso al suo re, donde non aveano luogo tra loro né la instabilità di mutare padrone, o per ambizione o per avarizia, né le concorrenze con gli altri capitani per avanzargli con maggiore condotta. Cose tutte contrarie nella milizia italiana, dove molti degli uomini d'arme, o contadini o plebei, e sudditi a altro principe, e in tutto dipendenti dai capitani co' quali convenivano dello stipendio, e in arbitrio de' quali era mettergli e pagargli, non aveano, né per natura né per accidente, stimolo estraordinario al bene servire; e i capitani, rarissime volte sudditi di chi gli conduceva e che spesso aveano interessi e fini diversi, pieni tra loro di emulazione e di odii, né avendo prefisso termine alle condotte e interamente padroni delle compagnie, né tenevano il numero de' soldati che erano loro pagati, né contenti delle condizioni, oneste mettevano in ogni occasione ingorde taglie a’ padroni; e instabili al medesimo servigio passavano spesso a nuovi stipendi, sforzandogli qualche volta l'ambizione o l'avarizia o altri interessi a essere non solo instabili ma infedeli.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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