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      Spaventato adunque Piero dal pericolo il quale prima aveva temerariamente disprezzato, mancandogli i sussidi promessi dal pontefice e da Alfonso, occupati per la perdita d'Ostia, per l'oppugnazione di Nettunno e per il timore dell'armata franzese, si risolvé precipitosamente d'andare a cercare dagl'inimici quella salute la quale piú non sperava dagli amici; seguitando, come pareva a lui, l'esempio del padre, il quale, essendo l'anno mille quattrocento settantanove, per la guerra fatta a' fiorentini da Sisto pontefice e da Ferdinando re di Napoli, ridotto in gravissimo pericolo, andato a Napoli a Ferdinando, ne riportò a Firenze la pace publica e la sicurtà privata. Ma è senza dubbio molto pericoloso il governarsi con gli esempli se non concorrono, non solo in generale ma in tutti i particolari, le medesime ragioni, se le cose non sono regolate con la medesima prudenza, e se, oltre a tutti gli altri fondamenti, non v'ha la parte sua la medesima fortuna. Con questa determinazione partito da Firenze, ebbe, innanzi che arrivasse al re, avviso che i cavalli di Pagolo Orsino e trecento fanti mandati da' fiorentini per entrare in Serezana erano stati rotti da alcuni cavalli de' franzesi corsi di qua dalla Magra, e restati la maggiore parte o morti o prigioni. Aspettò a Pietrasanta il salvocondotto regio, dove andorno per condurlo sicuro il vescovo di San Malò e alcun'altri signori della corte; dai quali accompagnato entrò in Serezana il dí medesimo che il re col resto dell'esercito si uní con l'antiguardia, la quale accampata a Serezanello batteva quella rocca, ma non con tale progresso che avessino speranza di espugnarla.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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