Ma il dí medesimo nel quale si mutò lo stato di Firenze, essendo Carlo nella città di Pisa, i pisani ricorsono a lui popolarmente a domandare la libertà, querelandosi gravemente delle ingiurie le quali dicevano ricevere da' fiorentini; e affermandogli alcuni de' suoi, che erano presenti, essere domanda giusta perché i fiorentini gli dominavano acerbamente, il re, non considerando quello che importasse questa richiesta e che era contraria alle cose trattate in Serezana, rispose subito essere contento: alla quale risposta il popolo pisano, pigliate l'armi e gittate per terra de' luoghi publici le insegne de' fiorentini, si vendicò cupidissimamente in libertà. E nondimeno il re, contrario a se medesimo né sapendo che cose si concedesse, volle che vi restassino gli ufficiali de' fiorentini a esercitare la solita giurisdizione; e da altra parte lasciò la cittadella vecchia in mano de' pisani, ritenendo per sé la nuova che era di importanza molto maggiore. Potette apparire in questi accidenti di Pisa e di Firenze quel che è confermato per proverbio comune, che gli uomini, quando si approssimano i loro infortuni, pérdono principalmente la prudenza, con la quale arebbono potuto impedire le cose destinate: perché e i fiorentini sospettosissimi in ogni tempo della fede de' pisani, aspettando una guerra di tanto pericolo, non chiamorono a Firenze i cittadini principali di Pisa, come per assicurarsene solevano fare, di numero grande, in ogni leggiero accidente; né Piero de' Medici, appropinquandosi tante difficoltà, armò di fanti forestieri la piazza e il palagio publico, come in sospetti molto minori si era fatto molte altre volte: le quali provisioni arebbono fatto impedimento grande a queste mutazioni.
| |
Firenze Carlo Pisa Serezana Pisa Firenze Firenze Pisa Piero Medici
|