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      In Siena dimorato pochissimi dí, e lasciatavi gente a guardia, perché per essere quella città inclinata insino a' tempi antichi alla divozione dello imperio gli era sospetta, si indirizzò al cammino di Roma; insolente piú l'un dí che l'altro per i successi molto maggiori che non erano giammai state le speranze, e, essendo i tempi benigni e sereni assai piú che non comportava la stagione, deliberato di continuare senza intermissione questa prosperità, terribile non solo agli inimici manifesti ma a quegli o che erano stati congiunti seco o i quali non l'avevano provocato in cosa alcuna. Perché, e il senato viniziano e il duca di Milano, impauriti di tanto successo, dubitando, massime per le fortezze ritenute de' fiorentini e per la guardia lasciata in Siena, che i pensieri suoi non terminassino nello acquisto di Napoli, incominciorno per ovviare al pericolo comune a trattare di fare insieme nuova confederazione; e gli arebbono data piú tosto perfezione se le cose di Roma avessino fatto quella resistenza che fu sperato da molti.
      Perché la intenzione del duca di Calavria, col quale s'erano unite presso a Roma le genti del pontefice e Verginio Orsino col resto dell'esercito aragonese, fu di fermarsi a Viterbo per impedire a Carlo il passare piú innanzi; invitandolo oltre a molte cagioni l'opportunità del luogo, circondato dalle terre della Chiesa e propinquo agli stati degli Orsini. Ma tumultuando già tutto 'l paese di Roma, per le scorrerie che i Colonnesi facevano di là dal fiume del Tevere e per gl'impedimenti che per mezzo d'Ostia si davano alle vettovaglie, le quali solevano condursi a Roma per mare, non ebbe ardire di fermarvisi: dubitando oltre a questo della mente del pontefice, perché, insino quando intese la variazione di Piero de' Medici, aveva cominciato a udire le domande franzesi, per le quali andò allora a Roma a parlargli il cardinale Ascanio, essendo andato prima per sicurtà sua il cardinale di Valenza a Marino, terra de' Colonnesi; e benché Ascanio si partisse senza certa risoluzione, perché nel petto d'Alessandro la diffidenza della mente di Carlo e il timore delle sue forze insieme combattevano, nondimeno come Carlo fu partito di Firenze si ritornò di nuovo a' ragionamenti dell'accordo, per i quali il pontefice mandò a lui i vescovi di Concordia e di Terni e maestro Graziano suo confessore, trattando di comporre insieme le cose sue e quelle del re Alfonso.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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