E se quando i fiorentini acquistorono Pisa molti pisani spontaneamente e subito se ne partirono, essere proceduto dalla superbia loro, impaziente ad accomodare l'animo alle forze proprie e alla fortuna, non per colpa de' fiorentini, i quali gli avevano retti con giustizia e con mansuetudine, e trattati talmente che sotto loro non era Pisa diminuita né di ricchezze né d'uomini; anzi avere con grandissima spesa ricuperato da' genovesi il porto di Livorno, senza il quale porto quella città era restata abbandonata d'ogni comodità ed emolumento: e con l'introdurvi lo studio publico di tutte le scienze e con molt'altri modi, ed eziandio col fare continuare diligentemente la cura de' fossi, essersi sempre sforzati di farla frequente d'abitatori. La verità delle quali cose era sí manifesta che con false lamentazioni e calunnie oscurare non si poteva. Essere permesso a ciascuno il desiderare di pervenire a migliore fortuna, ma dovere anche ciascuno pazientemente tollerare quello che la sorte sua gli ha dato; altrimenti confondersi tutte le signorie e tutti gl'imperi, se a ciascuno che è suddito fusse lecito il cercare di diventare libero. Né riputare necessario a' fiorentini l'affaticarsi per persuadere a Carlo, cristianissimo re di Francia, quel che appartenesse a lui di fare; perch
é, essendo re sapientissimo e giustissimo, si rendevano certi non si lascerebbe sollevare da querele e calunnie tanto vane e si ricorderebbe da se stesso quel ch'avesse promesso innanzi che l'esercito suo fusse ricevuto in Pisa, quel che sí solennemente avesse giurato in Firenze; considerando che quanto un re è piú potente e maggiore tanto gli è piú glorioso l'usare la sua potenza per conservazione della giustizia e della fede.
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