Al quale si fece incontro, nella terra di Poggibonzi, Ieronimo Savonarola, e interponendo, come era solito, nelle parole sue l'autorità e il nome divino, lo confortò con grandissima efficacia a restituire le terre a' fiorentini; aggiugnendo alle persuasioni gravissime minaccie, che se e' non osservava quel che con tanta solennità, toccando con mano gli evangeli e quasi innanzi agli occhi di Dio, avea giurato, sarebbe presto punito da Dio rigidamente. Fecegli il re, secondo la sua incostanza, quivi, e il dí seguente in Castelfiorentino, varie risposte: ora promettendo di restituirle come fusse arrivato in Pisa, ora allegando in contrario della fede data, perché affermava di avere, innanzi al giuramento prestato in Firenze, promesso a' pisani di conservargli in libertà; e nondimeno dando continuamente agli oratori de' fiorentini speranza della restituzione, come a Pisa fusse arrivato. In Pisa fu di nuovo questa materia proposta nel consiglio reale; perché accrescendosi ogni dí piú la fama degli apparati e dell'unirsi appresso a Parma le forze de' collegati, si cominciavano pure a considerare le difficoltà del passare per Lombardia, e però erano desiderati da molti i danari e gli aiuti offerti da' fiorentini. Ma a questa deliberazione furono contrari i medesimi che in Siena l'avevano contradetta, allegando che, se pure avessino, per l'opposizione degli inimici, qualche disordine o qualche difficoltà di passare per Lombardia, era meglio d'avere in sua potestà quella città, dove potrebbono ritirarsi, che lasciarla in mano de' fiorentini; i quali, come avessino ricuperate quelle terre, non sarebbono di maggiore fede che fussino stati gli altri italiani: soggiugnendo che, per la sicurtà del reame di Napoli, era molto opportuno il tenere il porto di Livorno; perché succedendo al re il disegno di mutare lo stato di Genova, come era da sperare, sarebbe padrone di quasi tutte le marine, dal porto di Marsilia insino al porto di Napoli.
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