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      La quale ignominia io tollererei piú facilmente se per alcuna probabile cagione si potesse dubitare della vittoria. Ma come può nascere in alcuno questo sospetto che, considerando la grandezza del nostro esercito, l'opportunità che abbiamo del paese circostante, si ricordi che, stracchi della lunghezza del cammino, assediati delle vettovaglie, pochissimi di numero e in mezzo di tutto il paese inimico, combattemmo sí ferocemente contro a grossissimo esercito in sul fiume del Taro? il quale fiume corse quel dí con grande impeto, piú grosso di sangue degli inimici che d'acqua propria; aprimmoci col ferro la strada, e vittoriosi cavalcammo otto giorni per il ducato di Milano, che tutto ci era contrario? Abbiamo al presente il doppio piú cavalleria e tanti piú fanti franzesi che allora non avevamo, e in cambio di tremila svizzeri n'abbiamo ora ventiduemila: gl'inimici, se bene augumentati di fanti tedeschi, si può dire che a comparazione nostra siano poco augumentati, perché la cavalleria loro è quasi la medesima, sono i medesimi capitani; e battuti una volta con tanto danno da noi, ritorneranno con grande spavento a combattere. E forse i premi della vittoria sono sí piccoli che abbino a essere vilipesi da noi? e non piú presto tali che debbiamo cercare di conseguirgli con qualunque pericolo? Perché non si combatte solamente la conservazione di tanta gloria acquistata, la conservazione del regno di Napoli, la salute di tanti vostri capitani e di tanta nobiltà, ma sarà posto in mezzo della campagna lo imperio di tutta Italia; la quale, vincendo qui, sarà per tutto preda della vittoria nostra: perché, che altre genti che altri eserciti restano agli inimici? nel campo de' quali sono tutte l'armi tutti i capitani che hanno potuto mettere insieme.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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