E cosí, cominciata a ritardarsi per opera sua la esecuzione delle cose disegnate, si turborono quasi in tutto per uno accidente inaspettato che sopravenne. Imperocché alla fine del mese di maggio il re, quando ciascuno aspettava che non molto poi si movesse per passare in Italia, deliberò di andare a Parigi: allegando che, secondo il costume degli antichi re, voleva innanzi si partisse di Francia pigliare licenza con le cerimonie consuete da san Dionigi e, nel passare da Torsi, da san Martino; e che avendo disposto di passare in Italia abbondantissimo di danari, per non si ridurre nelle necessità nelle quali era stato l'anno dinanzi, bisognava che inducesse l'altre città di Francia ad accomodarlo di danari con l'esempio della città di Parigi, dalla quale non otterrebbe essere accomodato se non vi andasse personalmente; e che approssimandosi in là, farebbe piú sollecite a cavalcare le genti d'arme che si movevano di Normandia e di Piccardia: affermando che innanzi alla partita sua spedirebbe il duca d'Orliens, e che in termine di un mese sarebbe ritornato a Lione. Ma si credette che la piú vera e principale cagione fusse l'essere egli innamorato in camera della reina, la quale poco avanti era andata a Torsi con la sua corte. Né potettono i consigli de' suoi né gli stretti prieghi, e quasi lagrime, degl'italiani rimuoverlo da questa deliberazione; i quali gli dimostravano quanto fusse dannoso il perdere il tempo opportuno alla guerra, massime in tanta necessità de' suoi nel regno napoletano, e quanto fusse perniciosa la fama che volerebbe per Italia che e' si fusse allontanato quando doveva approssimarsi: variarsi per ogni piccolo accidente, per ogni leggiero romore, la riputazione delle imprese; ed essere molto difficile il ricuperarla quando è cominciata a declinare, quando bene si facessino poi effetti molto maggiori di quegli che gli uomini prima si erano promessi.
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