Ma niuna impresa spaventava i fiorentini meno che quella di Livorno, proveduto sufficientemente di gente e d'artiglierie, e ove aspettavano di dí in dí soccorso di Provenza; perché non molto prima, per accrescere le forze sue con la riputazione nella quale allora erano in Italia l'armi de' franzesi, avevano con consentimento del re di Francia soldato monsignore di Albigion, uno de' suoi capitani con cento lancie e mille fanti tra svizzeri e guasconi, acciocché per mare passassino a Livorno, in su certe navi che per ordine loro erano state caricate di grani per sollevare la carestia che ne era per tutto il dominio fiorentino. La quale deliberazione, fatta con altri pensieri e ad altri fini che per difendersi da Cesare, se bene ebbe molte difficoltà, perché e Albigion con la sua compagnia già condotto alle navi ricusò d'entrare in mare e de' fanti se ne imbarcorono solamente seicento, nondimeno fu tanto favorita dalla fortuna che né maggiore né piú opportuna provisione si sarebbe potuta desiderare; conciossiacosaché, il dí medesimo che uno commissario pisano, mandato innanzi da Cesare con molti fanti e cavalli per fare ponti e spianare le vie per l'esercito che aveva a venire, si presentò a Livorno, i legni di Provenza, che erano cinque navi e alcuni galeoni, e con essi una nave grossa di Normandia, la quale il re mandava per rinfrescare Gaeta di vettovaglie e di gente, si scopersono sopra Livorno, co' venti tanto prosperi che, non se gli opponendo l'armata di Cesare perché fu costretta dal tempo ad allargarsi sopra la Meloria (scoglio famoso, perché già appresso a quello furono in una battaglia navale afflitte in perpetuo da' genovesi le forze de' pisani), entrorono nel porto senza ricevere alcuno danno; eccetto che uno galeone carico di grano, separato dal resto dell'armata, fu preso dagl'inimici.
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