Entrorno dipoi nel marchesato del Finale per dare cagione all'esercito italiano d'andare a soccorrerlo, sperando d'avere occasione di condurgli alla giornata; il che non succedendo non feceno piú cosa di momento, essendo massime accresciuta la discordia de' capitani e mancando ogni dí piú, per la tregua fatta, i pagamenti. Nel qual tempo i collegati avevano, da Novi in fuora, recuperato le terre prima perdute; e Novi finalmente, con tutto che il conte di Gaiazzo andatovi a campo ne fusse stato ributtato, ottenneno per accordo: né restò, de' luoghi acquistati, in potere de' franzesi altro che alcune piccole terre prese nel marchesato del Finale. Ne' quali travagli il duca di Savoia, infestato da tutte le parti con offerte grandi, e il marchese di Monferrato, il governo del quale era stato dal re de' romani confermato in Costantino di Macedonia, non si dichiarorono né per il re di Francia né per i confederati.
Non si era in questo anno fatta cosa di momento tra i fiorentini e i pisani, benché continuamente si proseguisse la guerra, se non che essendo andati i pisani, sotto Giampaolo Manfrone con quattrocento cavalli leggieri e con mille cinquecento fanti, per ricuperare il bastione fatto da loro al Ponte a Stagno, il quale avevano perduto quando Cesare si partí da Livorno, il conte Renuccio avutone notizia andò con molti cavalli a soccorrerlo, per la via di Livorno, non pensando i pisani dovere essere assaltati se non per la via del Pontadera; e avendogli sopragiunti che già combattevano il bastione, gli messe in fuga facilmente, pigliandone molti.
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