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      E per contrario, arebbono desiderato il duca di Milano e i capitani che erano nel Casentino prevenire il soccorso con la espugnazione di Bibbiena, e però dimandavano che si aggiugnessino quattromila fanti a quegli che erano nel campo; ma repugnavano al desiderio loro molte difficoltà, perché in paese freddo e alpestre i tempi che erano asprissimi impedivano assai l'azioni militari, e i fiorentini non erano molto pronti a questa provisione, parte per essere molto stracchi per le gravi e lunghe spese fatte e che continuamente facevano, parte perché nella città, per altre cagioni poco concorde, si era scoperta nuova dissensione; essendo alcuni de' cittadini fautori di Pagolo Vitelli, altri inclinati a esaltare il conte Renuccio, antico e fedele condottiere di quella republica e che aveva in Firenze parenti diautorità: il quale, caduto per l'avversità che ebbe a Santo Regolo della speranza del primo luogo, malvolentieri tollerava vederlo trasferito a Pagolo; e trovandosi con la compagnia sua in Casentino, non era pronto a quelle imprese dalle quali potesse accrescersi la riputazione di chi arebbe desiderato deprimere. Diventavano maggiori queste difficoltà per la natura di Pagolo, vantaggioso ne' pagamenti, difficile co' commissari fiorentini, e che spesso nella deliberazione ed espedizione delle cose si arrogava piú autorità che non parea conveniente. E, pure allora, avea senza saputa de' commissari conceduto al duca d'Urbino, ammalato, salvocondotto di partirsi sicuramente del Casentino; sotto la fidanza del quale salvocondotto si era partito oltre a lui Giuliano de' Medici, con grave dispiacere de' fiorentini, che si persuadevano che, se al duca si fusse difficultato il partirsi, che il desiderio di andare a ricuperare nello stato suo la sanità l'arebbe costretto a concordare di levare le genti di Bibbiena; e si dolevano similmente che a Giuliano, ribelle prima e che era venuto con l'armi contro alla patria, fusse stata fatta senza saputa loro tale abilità. Toglievano queste cose fede in Firenze a' consigli e alle dimande di Pagolo: e molto piú che la guerra non procedeva con molta sua riputazione appresso al popolo, perché e qualche fazione importante era stata fatta piú da' paesani che da' soldati e perché, per l'opinione grande che avevano del suo valore, si erano promessi molto prima la vittoria degli inimici; attribuendo, come è natura de' popoli, a non volere quello che si doveva attribuire piú presto a non potere, per l'asprezza de' tempi e per il mancamento delle provisioni.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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