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      Ma i capitani loro temerno che, se col duca si univano le genti che si preparavano a Milano, si impedisse il mettere a esecuzione il tradimento disegnato; e perciò l'esercito franzese, secondo l'ordine dato, messosi in arme, si accostò innanzi dí alle mura di Novara, attorniandone una gran parte, e mandati alcuni cavalli tra la città e il fiume del Tesino, per tôrre al duca e agli altri la facoltà di fuggirsi verso Milano. Il quale, sospettando ogn'ora piú del suo male, volle uscire coll'esercito di Novara per combattere con gli inimici, avendo già mandati fuora i cavalli leggieri e i borgognoni a cominciare la battaglia; alla quale cosa gli fu apertamente contradetto da' capitani de' svizzeri, allegando che senza licenza de' suoi signori non volevano venire alle mani co' parenti e co' fratelli propri e con gli altri della sua nazione: co' quali poco dipoi mescolatisi, come se fussino di uno esercito medesimo, dissono volersi partire subito per andarsene alle loro case. Né potendo il duca, né co' prieghi né con le lacrime né con infinite promesse, piegare la barbara perfidia, si raccomandò loro efficacemente che almeno conducessino lui in luogo sicuro; ma perché erano convenuti co' capitani franzesi di partirsi e non menarlo seco, negato di concedergli la sua dimanda, consentirno si mescolasse tra essi in abito di uno de' loro fanti, per stare alla fortuna, se non fusse riconosciuto, di salvarsi. La quale condizione accettata da lui per ultima necessità non fu sufficiente alla sua salute, perché, camminando essi in ordinanza per mezzo dell'esercito franzese, fu, per la diligente investigazione di coloro che erano preposti a questa cura, o insegnato dai medesimi svizzeri, riconosciuto, mentre che mescolato nello squadrone camminava a piede, vestito e armato come svizzero, e subitamente ritenuto per prigione: spettacolo sí miserabile che commosse le lagrime insino a molti degli inimici.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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