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      E nondimeno i faventini, avendo ricevuto danno non piccolo in questo assalto, cominciorono talmente a considerare come alla fine, abbandonati da ciascuno, potessino contro a tanto esercito sostenersi, e con quanto danno e male condizioni verrebbono o espugnati per forza o costretti per l'ultima necessità a darsi in potestà del vincitore, che, raffreddato tanto ardore e sottentrando la paura, si arrenderono, pochi dí poi, al Valentino; salvo l'avere e le persone, e pattuita la libertà di Astore suo signore, e che gli fusse lecito di andare dove gli paresse, rimanendogli salva l'entrata delle proprie possessioni. Le quali cose Valentino, quanto agli uomini di Faenza, osservò fedelmente: ma Astore, che era minore di diciotto anni e di forma eccellente, cedendo l'età e la innocenza alla perfidia e crudeltà del vincitore, fu, sotto specie di volere rimanesse nella sua corte, ritenuto appresso a lui, con onorevoli dimostrazioni; ma non molto tempo poi condotto a Roma, saziata prima (secondo si disse) la libidine di qualcuno, fu occultamente insieme con uno suo fratello naturale privato della vita.
      Acquistato che ebbe il Valentino Faenza si mosse verso Bologna, avendo in animo non solo di occupare quella città ma di molestare dipoi i fiorentini; i quali erano in molta declinazione, essendosi allo sdegno primo del re di Francia aggiunte nuove cagioni. Conciossiaché, affaticati dalle gravi spese che aveano fatte e che continuamente erano necessitati di fare, per la guerra co' pisani e per il sospetto che aveano delle forze del pontefice e del Valentino, non pagavano al re, con tutto che ne facesse grande instanza, il residuo de' danari prestati loro dal duca di Milano, né quegli che e' pretendeva dovere avere per conto de' svizzeri mandati contro a Pisa; perché avendo i fiorentini negato di pagare loro, secondo che a Milano aveano convenuto col cardinale di Roano, una paga per ritornarsene alla patria, perché si erano partiti molti dí prima che avessino finito di servire lo stipendio ricevuto, il re, per conservarsi benevola quella nazione, l'aveva pagata del suo proprio: e gli dimandava con grande acerbità di parole, non ammettendo scusa alcuna della impotenza loro.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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