Ma a' fiorentini era difficile credere che essi non ne fussino stati autori; e però, spaventati tanto piú e confidando poco ne' rimedi che potessino fare da se medesimi, perché avevano per la mala disposizione della città poco numero di genti d'arme a' soldi loro, né era possibile provedersene tanto presto quanto sarebbe in pericolo cosí subito stato necessario, ricorsono con estrema diligenza agli aiuti del re di Francia, ricordandogli non solo quello che apparteneva all'onore suo, per essere egli obligatosi sí frescamente alla loro protezione, ma eziandio il pericolo imminente al ducato di Milano se il pontefice e il Valentino, per opera de' quali non era dubbio essere stato fatto questo movimento, riducessino in loro arbitrio le cose di Toscana. Trovarsi molto potenti in su l'armi e con esercito fiorito di capitani e di soldati eletti, e già apparire manifestamente che a saziare la loro infinita ambizione non era bastante né la Romagna né la Toscana ma essersi proposti fini vasti e smisurati; e poi che avevano offeso l'onore del re, assaltando quegli che erano sotto la sua protezione, costrignerli ora la necessità a pensare non meno alla sicurtà propria e a tôrre a lui la facoltà di vendicarsi di tanta ingiuria.
Commossono molto il re queste ragioni, già prima cominciato a infastidire della insolenza e ambizione del pontefice e del figliuolo; e, considerando essere cominciata nel regno di Napoli la guerra tra lui e i re di Spagna, interrotta la concordia trattata con Massimiliano, né potersi per molte cagioni confidare de' viniziani, cominciò a dubitare che lo insulto di Toscana non avesse, con occulto consiglio d'altri contro a sé, fini maggiori: nella quale dubitazione lo confermorono molto le lettere di Carlo di Ambuosa signore di Ciamonte, nipote del cardinale di Roano e luogotenente suo in tutto il ducato di Milano, il quale insospettito di questa novità lo confortava che al pericolo proprio sollecitamente provedesse.
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