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      Perché il re, commosso maravigliosamente contro al pontefice, aveva nell'animo di spogliare Valentino della Romagna e degli altri stati i quali aveva occupati; e a questo effetto avendo chiamati a sé tutti quegli che o temevano della potenza sua o erano stati offesi da lui, affermava volervi andare in persona, dicendo publicamente con grande ardore che era impresa sí pietosa e sí santa che né piú pietosa né piú santa sarebbe la impresa contro a' turchi: disegnando oltre a questo, nel tempo medesimo, cacciare di Siena Pandolfo Petrucci, perché a Lodovico Sforza quando ritornò a Milano avea mandato danari, e dipoi sempre fatto aperta professione di aderire a Cesare. Ma il pontefice e il Valentino, conoscendo non potere resistere a sí grave tempesta, si aiutavano con le loro arti; scusando il movimento d'Arezzo essere stato fatto da Vitellozzo senza saputa loro, né essere stati di autorità bastante a ritirarlo né a fare che gli Orsini e Giampagolo Baglione, benché soldati suoi, mossi dagli interessi propri, si astenessino da dargli aiuto. Anzi, per mitigare piú l'animo del re, aveva Valentino mandato a minacciare Vitellozzo che se non abbandonava subito Arezzo e l'altre terre de' fiorentini gli andrebbe contro con le sue genti. Per le quali cose spaventato Vitellozzo, e temendo che, come accade quasi sempre, riconciliatisi tra loro i piú potenti, lo sdegno del re non si volgesse contro a sé, manco potente, chiamato in Arezzo il capitano Imbalt, invano contradicendo i fiorentini i quali volevano che le terre perdute fussino restituite loro subito liberamente, convenne: che Vitellozzo, partendosi incontinente con le sue genti, consegnasse Arezzo e tutte l'altre terre a' capitani franzesi per tenerle in nome del re, insino a tanto che il cardinale Orsino che andava al re avesse parlato con lui; e che in questo mezzo non entrasse in Arezzo altra gente che uno de' capitani franzesi con quaranta cavalli, per sicurtà del quale, e non meno della osservanza delle promesse, Vitellozzo desse a Imbalt due suoi nipoti per statichi.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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