Dopo la ratificazione de' quali avendo medesimamente ratificato il pontefice, il duca d'Urbino, benché dal popolo che gli prometteva volere morire per la conservazione sua fusse pregato di non partirsi, nondimeno temendo piú dell'armi militari che non confidava delle voci popolari, ritornandosene a Vinegia, dette luogo all'impeto degli inimici, avendo prima fatte rovinare tutte le fortezze di quello stato eccetto che quelle di Santo Leo e di Maiuolo; e i popoli, essendovi andato per commissione del Valentino i popoli Antonio dal Monte a Sansovino, che fu poi cardinale, con facoltà di concedere loro venia, ritornorono d'accordo sotto il suo giogo: il che fece anche la città di Camerino, perché il signore se ne fuggí nel reame di Napoli, impaurito perché Vitellozzo e gli altri, levate le genti loro del contado di Fano, si preparavano per andare come soldati di Valentino a quella impresa. Nel quale tempo il pontefice mandò il campo a Palombara, ricuperata da' Savelli insieme con Senzano e altre loro castella, nell'occasione dell'armi mosse da questi altri.
Ma il duca Valentino, volendo mettere a fine i suoi occulti pensieri, andò da Imola a Cesena; dove non quasi arrivato che le lancie franzesi, venute non molti dí prima, si partirno subitamente da lui, rivocate da Ciamonte, non per commissione del re ma o, come si affermava, per indegnazione particolare nata tra lui e il Valentino o pure perché cosí fusse stato procurato da lui, per essere manco formidabile a quegli i quali sommamente desiderava di assicurare.
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