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      Distesesi l'esercito de' fiorentini non solo a dare il guasto in quelle parti del contado di Pisa nelle quali per l'addietro si era dato ma ancora in San Rossore e in Barbericina, dipoi in Valdiserchio e in Val d'Osoli, luoghi congiunti a Pisa; dove quando l'esercito era stato meno potente non si era potuto andare senza pericolo: il quale come fu dato, andati a campo a Librafatta ove era piccolo presidio, costrinsono in pochi dí quelli che vi erano dentro ad arrendersi liberamente. Né si dubita che quello anno i pisani sarebbono stati costretti per la fame a ricevere il giogo de' fiorentini se non fussino suti sostentati da' vicini, e massimamente da' genovesi e da' lucchesi (perché Pandolfo Petrucci, prontissimo a confortare gli altri e larghissimo al promettere di concorrere alle spese, era tardissimo agli effetti): co' danari de' quali Rinieri della Sassetta soldato del gran capitano, ottenuta licenza da lui, e alcuni altri condottieri condussono per mare dugento cavalli; e i genovesi vi mandorno uno commissario con mille fanti; e il Bardella da Porto Venere, corsale famoso nel mare Tirreno, e che pagato da' predetti avea titolo di capitano de' pisani, metteva in Pisa continuamente, con uno galeone e alcuni brigantini, vettovaglie. Onde i fiorentini, giudicando necessario che oltre alle molestie che si davano per terra si proibisse loro l'uso del mare, soldorno tre galee sottili del re Federigo che erano in Provenza: con le quali come don Dimas Ricaiensio capitano loro si approssimò a Livorno il Bardella si discostò, con tutto che alcuna volta, presa l'occasione de' venti, conducesse qualche barca carica di vettovaglie alla foce d'Arno, onde facilmente entravano in Pisa.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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