Ma in Savona, discussa piú particolarmente questa materia, conchiusono essere bene che Pisa ritornasse sotto i fiorentini; ma che ciascuno di loro ne ricevesse premio. Le quali cose furno cagione che i fiorentini, per non offendere l'animo del re di Aragona, pretermessono di dare quello anno il guasto alle ricolte de' pisani: cosa nella quale avevano molta speranza, perché Pisa era molto esausta di vettovaglie, e tanto debole di forze che le genti de' fiorentini correvano per tutto il paese insino alle porte; e i contadini, piú potenti di numero d'uomini in Pisa che i cittadini, essendo loro molestissimo il perdere il frutto delle fatiche loro di tutto l'anno, cominciavano a rimettere assai della solita ostinazione. Né a' pisani concorrevano piú gli aiuti soliti de' vicini; perché ne' genovesi battuti da tante calamità non erano piú i medesimi pensieri, Pandolfo Petrucci recusava lo spendere, e i lucchesi, con tutto che sempre occultamente di qualche cosa gli sovvenissino, non potevano soli tanta spesa sostenere.
Partirono da Savona con le medesime dimostrazioni di concordia e di amore dopo quattro giorni i due re; l'uno per mare al cammino di Barzalona; l'altro se ne ritornò per terra in Francia, lasciate l'altre cose d'Italia nel grado medesimo, ma con peggiore sodisfazione dell'animo del pontefice. Il quale, di nuovo, presa occasione dal movimento fatto da Annibale Bentivoglio, avea per il cardinale di Santa Prassede fatto instanza in Savona che gli facesse dare prigioni Giovanni Bentivogli e Alessandro suo figliuolo, i quali erano nel ducato di Milano; allegando che, poi che avevano contravenuto alla concordia fatta per mezzo di Ciamonte in Bologna, non era piú il re obligato a osservare loro la fede data; e offerendo, in caso gli fusse consentito questo, mandare l'insegne del cardinalato al vescovo d'Albi.
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