Arassi a fare la guerra contro a uno re di Francia potentissimo, duca di Milano, signore di Genova, abbondante di valorose genti d'arme, e instrutto, quanto alcuno altro principe, di artiglierie; e al nome de' danari del quale concorrono i fanti di qualunque nazione. Come adunque si può sperare che tale impresa abbia facilmente ad avere successo felice? potendosi anche non vanamente dubitare che tutti quegli d'Italia che o pretendono che noi occupiamo il suo o che temono la nostra grandezza si uniranno contro a noi; e il pontefice sopra gli altri, al quale, oltre agli sdegni che ha con noi, non piacerà mai la potenza dello imperadore in Italia, per la inimicizia naturale che è tra la Chiesa e lo imperio, per la quale i pontefici non temono manco degli imperadori nelle cose temporali che e' temino de' turchi nelle spirituali. E questa congiunzione ci sarebbe forse piú pericolosa che non sarebbe quella di che si teme tra il re di Francia e il re de' romani, perché dove si accompagnano piú príncipi che pretendono d'essere pari nascono facilmente tra loro sospetti e contenzioni; donde spesso le imprese, cominciate con grandissima riputazione, caggiono in molte difficoltà, e finalmente diventano vane. Né è da mettere in ultima considerazione che, quando bene il re di Francia abbia tenute pratiche contrarie alla nostra confederazione, non si sono però veduti effetti per i quali si possa dire averci mancato: però, il pigliargli guerra contro non sarà senza nota di maculare la nostra fede, della quale questo senato debbe fare precipuo capitale per l'onore e per l'utilità de' maneggi che tutto dí abbiamo avere con gli altri príncipi; né ci è utile augumentare continuamente l'opinione che noi cerchiamo di opprimere sempre tutti i vicini, che noi aspiriamo alla monarchia d'Italia.
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