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      Da altra parte si preparavano i viniziani a ricevere con animo grandissimo tanta guerra, sforzandosi, co' danari con l'autorità e con tutto il nervo del loro imperio, di fare provisioni degne di tanta republica; e con tanto maggiore prontezza quanto pareva molto verisimile che, se sostenessino il primo impeto, s'avesse facilmente l'unione di questi príncipi, male conglutinata, ad allentarsi o risolversi: nelle quali cose, con somma gloria del senato, il medesimo ardore si dimostrava in coloro che prima aveano consigliato invano che la fortuna prospera modestamente si usasse che in quegli che erano stati autori del contrario; perché, preponendo la salute publica alla ambizione privata, non cercavano che crescesse la loro autorità col rimproverare agli altri i consigli perniciosi né con l'opporsi a' rimedi che si facevano a' pericoli nati per la loro imprudenza. E nondimeno, considerando che contro a loro si armava quasi tutta la cristianità, si ingegnorono quanto potettono di interrompere tanta unione, pentitisi già d'avere dispregiata l'occasione di separare dagli altri il pontefice, avendo massimamente avuta speranza che egli sarebbe stato paziente se gli restituivano Faenza sola. Però con lui rinnovorno i primi ragionamenti, e ne introdusseno de' nuovi con Cesare e col re cattolico; perché col re di Francia, o per l'odio o per la disperazione d'averlo a muovere, non tentorno cosa alcuna. Ma né il pontefice poteva accettare piú quel che prima avea desiderato, e al re cattolico con tutto che forse non mancasse la volontà mancava la facoltà di rimuovere gli altri; e Cesare, pieno d'odio smisurato contro al nome viniziano, non solamente non gli esaudí ma né udí l'offerte loro, perché recusò di ammettere al cospetto suo Giampiero Stella loro secretario mandatogli con amplissime commissioni.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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