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      Ottenuta tanta vittoria, il re, per non corrompere con la negligenza l'occasione acquistata con la virtú e con la fortuna, andò il dí seguente a Caravaggio; ed essendosegli arrenduta subito a patti la terra, batté con l'artiglierie la fortezza, la quale in spazio di uno dí si dette liberamente. Arrendessegli il prossimo dí, non aspettato che l'esercito s'accostasse, la città di Bergamo; nella quale lasciate cinquanta lancie e mille fanti per la espugnazione della fortezza, si indirizzò a Brescia; dove, innanzi arrivasse, la fortezza di Bergamo stata battuta uno dí con l'artiglierie si arrendé, con patto che fussino prigioni Marino Giorgio e gli altri ufficiali viniziani: perché il re, non tanto mosso da odio quanto dalla speranza d'averne a trarre quantità grande di danari, era deliberato di non accettare mai, quando se gli arrendevano le terre, patto alcuno per il quale fussino salvati i gentiluomini viniziani. Ne' bresciani non era piú quella antica disposizione con la quale avevano, al tempo degli avoli loro, sostenuto nelle guerre di Filippo Maria Visconte gravissimo assedio per conservarsi sotto lo imperio viniziano; ma inclinati a darsi a' franzesi, parte per il terrore delle armi loro parte per i conforti del conte Giovanfrancesco da Gambara, capo della fazione ghibellina, avevano il dí dopo la rotta occupate le porte della città, opponendosi apertamente a Giorgio Cornaro, il quale andato quivi con grandissima celerità voleva mettervi gente; e dipoi accostatosi alla città l'esercito diminuito assai di numero, non tanto per il danno ricevuto nel fatto d'arme quanto perché, come accade ne' casi simili, molti volontariamente se ne partivano, disprezzorono l'autorità e i prieghi di Andrea Gritti, che entrò in Brescia a persuadergli che gli accettassino per loro difesa.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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