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      Ma non era minore l'ambiguità degli uomini: perché gli apparati potentissimi che da ciascuna delle parti si dimostravano tenevano molto sospesi i giudici comuni, incertissimi quale avesse ad avere effetto piú felice, o l'assalto o la difesa. Perché nell'esercito di Cesare, oltre alle settecento lancie del re di Francia le quali governava la Palissa, erano dugento uomini d'arme mandatigli in aiuto dal pontefice, dugento altri mandatigli dal duca di Ferrara sotto il cardinale da Esti, benché ancora non fussino composte le differenze tra loro, e sotto diversi condottieri secento uomini d'arme italiani soldati da lui. Né era minore il nerbo del peditato che de' cavalli, perché aveva diciottomila tedeschi seimila spagnuoli seimila venturieri di diverse nazioni e duemila italiani menatigli e pagati dal cardinale da Esti nel medesimo nome. Seguitavalo apparato stupendo di artiglierie e copia grande di munizioni, della quale una parte gli avea mandata il re di Francia. E benché i soldati suoi propri la piú parte del tempo non ricevessino danari, nondimeno, per la grandezza e autorità di tanto capitano, e per la speranza di pigliare e saccheggiare Padova e d'avere poi in preda tutto quello che ancora possedevano i viniziani, non per questo l'abbandonavano; anzi continuamente augumentava ogni dí il numero, sapendosi massime per ciascuno che egli, di natura liberalissimo e pieno di umanità co' suoi soldati, mancava di pagargli non per avarizia e volontà ma per impotenza. Era cosí potente l'esercito cesareo, benché raccolto non solo delle forze sue ma eziandio degli aiuti e forze d'altri; ma non era manco potente, per quanto fusse necessario alla difesa di Padova, l'esercito che per i viniziani si ritrovava in quella città. Perché vi erano seicento uomini d'arme mille cinquecento cavalli leggieri mille cinquecento stradiotti, sotto famosi ed esperti capitani: il conte di Pitigliano preposto a tutti, Bernardino dal Montone, Antonio de' Pii, Luzio Malvezzo, Giovanni Greco e molti condottieri minori.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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