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      Quel che allora si dimostrava era che essendo vacato uno vescovado di Provenza, per la morte del vescovo suo nella corte di Roma, il papa l'aveva conferito contro alla volontà del re di Francia; il quale pretendeva questo essere contrario alla capitolazione fatta tra loro per mezzo del cardinale di Pavia, nella quale, se bene nella scrittura non fusse stato nominatamente espresso che il medesimo si osservasse ne' vescovadi che vacassino nella corte di Roma che in quegli che vacavano negli altri luoghi, nondimeno il cardinale avergliene promesso con le parole: il che negando il cardinale essere vero (forse piú per timore che per altra cagione) e il re affermando il contrario, il pontefice diceva non sapere quello che tacitamente fusse stato trattato, ma che avendo nella ratificazione sua riferitosi a quello che appariva per scrittura, con inserirvi nominatamente capitolo per capitolo, né comprendendo questo il caso quando i vescovi morivano in corte di Roma, non essere tenuto piú oltre. E perciò crescendo la indignazione, il re, disprezzato contro alla sua consuetudine il consiglio del cardinale di Roano, stato sempre autore della concordia col pontefice, fece sequestrare i frutti di tutti i benefici che tenevano nello stato di Milano i cherici residenti nella corte di Roma; e il papa da altra parte ricusava di dare le insegne del cardinalato ad Albi, il quale per riceverle, secondo la promessa fatta al re, era andato a Roma. E con tutto che il pontefice, vinto da' prieghi di molti, disponesse alla fine del vescovado di Provenza secondo la volontà del re e con lui convenisse di nuovo come s'avesse a procedere ne' benefici che nel tempo futuro vacassino nella corte di Roma, e che perciò dall'una parte si liberassino i sequestri fatti, dall'altra concedute le insegne del cardinalato ad Albi, nondimeno non bastavano queste cose a mollificare l'animo del pontefice, esacerbato per molte cose, ma specialmente perché avendo insino dal principio del pontificato conceduta malvolentieri al cardinale di Roano la legazione del regno di Francia, come dannosa alla corte di Roma, e con indegnità sua, gli era molestissimo essere costretto, per non irritare tanto l'animo del re di Francia, consentire la continuasse; e perché, persuadendosi che quel cardinale tendesse con tutti i suoi pensieri e arti al pontificato, sospettava d'ogni progresso e d'ogni movimento de' franzesi.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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