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      Venga qualunque piú inimico animo e piú crudele, ma che in altri tempi abbia veduto la patria nostra, a vederla di presente; siamo certi non potrà contenere le lagrime, considerando che quella città che, benché piccola di circuito, soleva essere pienissima di popolo, superbissima di pompe, illustre per tante magnifiche e ricche case, ricetto continuo di tutti i forestieri, quella città dove non si attendeva ad altro che a conviti a giostre e a piaceri, sia ora quasi desolata di abitatori, le donne e gli uomini vestiti vilissimamente, non vi essere piú aperta casa alcuna, non vi essere alcuno che possa promettersi di avere modo di sostentare sé e la famiglia sua pure per uno mese, e in cambio di magnificenze, di feste e di piaceri non si vedere e sentire altro che miserie, lamentazioni publiche di tutti gli uomini, pianti miserabili per tutte le strade di tutte le donne: le quali sarebbono ancora maggiori se non ci ricordassimo che dalla volontà tua, gloriosissimo principe di Anault, depende o l'ultima desolazione di quella afflittissima nostra patria o la speranza di potere, sotto l'ombra di Cesare, sotto il governo della sapienza e clemenza tua, non diciamo respirare o risorgere, perché questo è impossibile, ma, consumando la vita per ogni estremità, fuggire almeno l'ultimo eccidio. Speriamo, perché ci è nota la benignità e umanità tua, perché è verisimile che tu vogli imitare Cesare, degli esempli, della clemenza e mansuetudine del quale è piena tutta l'Europa. Sono consumate le sostanze nostre, sono finite tutte le nostre speranze, non ci è piú altro che le vite e le persone: nelle quali incrudelire, che frutto sarebbe a Cesare? che laude a te?


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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