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      Preso il bastione, fu da Molardo saccheggiata la terra; e i fanti che erano a guardia d'uno bastione fabricato in su l'altra punta della terra se ne fuggirono per quegli paludi, lasciate l'armi all'entrare dell'acque: e cosí, per la viltà di quegli che vi erano dentro, riuscí piú facile e piú presto che non si era stimato l'acquisto di Lignago. Né fece maggiore resistenza il castello che avesse fatto la terra; perché essendo il dí seguente levate con l'artiglieria le difese, e cominciato a tagliare da basso co' picconi uno cantone d'uno torrione, con intenzione di dargli poi fuoco, si arrenderono: con patto che, rimanendo i gentiluomini viniziani in potestà di Ciamonte, i soldati lasciate l'armi se ne andassino salvi in giubbone. Mescolò la fortuna nella vittoria con amaro fiele l'allegrezza di Ciamonte, perché quivi ebbe avviso della morte del cardinale di Roano suo zio, per l'autorità somma del quale appresso al re di Francia esaltato a grandissime ricchezze e onori sperava continuamente cose maggiori. In Lignago, per essere i tedeschi impotenti a mettervi gente, lasciò Ciamonte a guardia cento lancie e mille fanti; e avendo dipoi licenziato i fanti grigioni e vallesi, si preparava per ritornare col rimanente dello esercito nel ducato di Milano per comandamento del re, inclinato a non continuare piú in tanta spesa, dalla quale, per non corrispondere alle deliberazioni prima fatte le provisioni dalla parte di Cesare, non risultava effetto alcuno importante. Ma gli comandò poi il re che ancora soprasedesse per tutto giugno, perché Cesare venuto a Spruch, pieno di difficoltà secondo il solito ma pieno di disegni e di speranze, faceva instanza non si partisse, promettendo di passare d'ora in ora in Italia.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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