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      La diligenza e fatiche usate con Cesare per alienarlo dalla amicizia del re di Francia e indurlo a concordia co' viniziani apparivano del continuo piú inutili; perché Cesare, quando l'esercito del pontefice si mosse contro al duca di Ferrara, v'aveva mandato uno araldo a protestare che non lo molestassino, ed essendo andato in nome del pontefice Costantino di Macedonia per trattare tra lui e i viniziani aveva ricusato udirlo, e dimostrando di volere unirsi maggiormente col re di Francia ordinava di mandargli, per convenire seco della somma delle cose, il vescovo Gurgense: né gli elettori dello imperio, benché inclinati al nome del pontefice e alla divozione della sedia apostolica, alieni dallo spendere e volti co' pensieri loro solo alle cose di Germania, erano di momento in questi travagli. Poco piú pareva potesse sperare del re d'Inghilterra, benché giovane e desideroso di cose nuove, e che faceva professione di amare la grandezza della Chiesa e che aveva non senza inclinazione d'animo udite le sue imbasciate; perché, essendo separato da Italia per tanto spazio di terra e di mare, non poteva solo deprimere il re di Francia: oltre che, aveva ratificato la pace fatta con lui e per una solenne imbasceria, che a questo effetto gli mandò, ricevuta la sua ratificazione. Nessuno certamente, avendo sí deboli fondamenti e tanti ostacoli, non arebbe rimesso l'animo; avendo massime facoltà di ottenere la pace dal re di Francia, con quelle condizioni che, vincitore, appena arebbe dovuto desiderare maggiori.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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