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      Proposonsi il dí seguente nuove condizioni, per le quali ritornorono a Ciamonte i medesimi imbasciadori; le quali si disturborno per varie difficoltà: di maniera che Ciamonte, disperato di potere fare piú, o coll'armi o per i trattati della pace, frutto alcuno, ed essere difficile a dimorare quivi, diminuendogli le vettovaglie e cominciando a essere per il sopravenire della vernata i tempi sinistri, ritornò il dí medesimo a Castelfranco e il dí prossimo a Rubiera; dimostrando di farlo mosso da' prieghi degli oratori, e per dare al pontefice spazio di pensare sopra le cose proposte, e a sé di intendere la mente del re.
      Accusorno in questo tempo molti la deliberazione di Ciamonte di imprudenza, l'esecuzione di negligenza: come se, non avendo forze sufficienti a spugnare Bologna, conciossiaché nell'esercito non fussino piú di tremila fanti, fusse stato inconsiderato consiglio il muoversi per i conforti de' fuorusciti; le speranze de' quali, misurate piú col desiderio che con le ragioni, riescono quasi sempre vanissime. Avere dovuto almeno, se pure deliberava di tentare questa impresa, ristorare colla prestezza la debolezza delle forze, ma per contrario avere corrotta l'opportunità con la tardità; perché dopo l'indugio del muoversi da Peschiera aveva perduti inutilmente tre o quattro dí, mentre che considerando la impotenza del suo esercito stava sospeso o di tentare da se medesimo o di aspettare le genti del duca di Ferrara e Ciattiglione con le lancie franzesi: potersi forse questo difendere; ma come mai potersi scusare che preso Castelfranco non si fusse subito accostato alle porte di Bologna, né dato spazio di respirare a una città dove non era ancora entrato alcuno soccorso, il popolo sospeso, e maggiore (come accade nelle cose súbite) la confusione e il terrore? mezzo unico, se alcuno ve ne era, a fargli ottenere o vittoria o onesta composizione.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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